Carcinoma ovarico: efficacia dell’associazione Doxorubicina liposomiale pegilata e Carboplatino
Uno studio, pubblicato su Annals of Oncology, ha mostrato l’efficacia della terapia con Doxorubicina liposomiale pegilata ( Caelyx, Doxil ) in associazione con Carboplatino ( Paraplatin ), nel carcinoma ovarico già trattato in precedenza.
La percentuale di risposta tumorale complessiva mostrata dall’associazione Doxorubicina liposomiale pegilata e Carboplatino è stata pari al 63%, con un tasso di risposta completa pari al 38%, una sopravvivenza mediana di 32% e una sopravvivenza mediana libera da progressione pari a 9.4 mesi.
Lo schema terapeutico standard per il tumore ovarico recidivato consiste nell’associazione di Paclitaxel e Carboplatino. Tuttavia la neurotossicità costituisce un effetto cumulativo importante della chemioterapia con taxani, giustificando dunque la ricerca di un’alternativa alla somministrazione di tali composti. I risultati di questo studio hanno mostrato che l’associazione di Doxorubicina liposomiale pegilata e Carboplatino ottiene risultati terapeutici simili a quelli del trattamento standard e può comportare una minore incidenza di neurotossicità.
Lo studio ha valutato l’efficacia e la sicurezza dell’associazione fra Doxorubicina liposomiale pegilata e Carboplatino in 104 pazienti trattate ( su 105 arruolate ) con carcinoma ovarico in fase avanzata, recidivato almeno 6 mesi dopo un trattamento di prima o di seconda linea. In tutti i casi si è trattato di pazienti già sottoposte a terapia di prima o di seconda linea basata sull’associazione di taxani e Platino.
Alle pazienti è stata somministrata Doxorubicina liposomiale pegilata alla dose di 30 mg/m2 seguita da Carboplatino ( AUC 5 mg.min/mL ) ogni 28 giorni per un massimo di 9 cicli. Le pazienti hanno ricevuto una mediana di 6 cicli con una dose ( sempre mediana ) del 97 e del 95% delle dosi rispettivamente previste per Doxorubicina liposomiale pegilata e Carboplatino. Il tasso di risposta globale è stato del 63%, con un 38% di risposte complete.
Gli effetti indesiderati più comuni sono stati di natura ematologica: nel 51% dei casi si è manifestata grave neutropenia ( di grado 3 o 4 ); nel 27% si è registrata leucopenia, nel 26% trombocitopenia, nel 12% anemia e solo nel 3% neutropenia con rialzo febbrile. Nel 4% dei casi gli effetti indesiderati ematologici hanno imposto la sospensione del trattamento.
Gli effetti indesiderati non-ematologici sono stati rari e prevalentemente lievi o moderati ( di grado 1 o 2 ). Oltre il 50% delle pazienti è andato incontro a nausea e vomito o astenia di grado lieve o moderato.
La sindrome mano-piede, una reazione cutanea trattabile, ma non sempre reversibile, che di solito si manifesta sul palmo della mano e sulla pianta del piede, si è verificata in un terzo delle pazienti e in misura contenuta ( grado 1 e 2 soltanto ). Si tratta di un effetto collaterale ben documentato di Doxorubicina liposomiale pegilata, gestibile con un aggiustamento della posologia.
Non sono stati osservati segni di cardiotossicità.
La Doxorubicina liposomiale pegilata è una formulazione di Doxorubicina cloridrato, racchiusa in liposomi pegilati a lunga emivita. I farmaci citotossici sono impiegati allo scopo di impedire la replicazione delle cellule in rapida divisione, tra cui le cellule neoplastiche.
La Doxorubicina liposomiale pegilata è approvata nell’Unione Europea per il trattamento del tumore ovarico avanzato in donne che abbiano fallito una terapia di prima linea basata sulla somministrazione di Platino. Inoltre, la Doxorubicina liposomiale pegilata è disponibile come monoterapia nel carcinoma mammario metastatico nelle pazienti con rischio cardiovascolare elevato e per il trattamento del sarcoma di Kaposi correlato all’AIDS nei pazienti con bassa concentrazione di linfociti CD4 ( inferiori a 200/mm3 ) e lesioni mucocutanee o viscerali estese. ( Xagena2007 )
Fonte: Schering-Plough, 2007
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